Tabù è più di una parola impronunciabile perché sacra. Il tabù è l’interdizione a ciò che è maggiormente desiderato. In occidente l’abbiamo sublimato in gioco da tavola. Su questa ambivalenza si costruisce l’idea tutta femminile partorita da cinque favolose donne. Ve le presento una a una: Lorenza Giacometti, Lorenza Sacchetto, Noemi Sferlazza, Chiara David e Giulia Di Turi. Vi starete chiedendo perché quest’improvvisa pignoleria coi nomi. Chi ha avuto la (s)fortuna di leggermi, sa bene che nelle recensioni cerco di capire perché vengano fatte certe scelte rappresentative. Questo procedimento prescinde e precede ogni considerazione sulla maturità attoriale di chi va in scena, che sottraggo dalla ribalta. Stavolta voglio lasciarle tutte in primo piano. Sebbene la penna autrice sia quella di Alessandro Bonanni, e persino la regia sia stata affidata a un uomo, Giovanni De Anna, non si può fare a meno di notare un’intenzione collettiva e corale tutta femminile.
“Tabù” è una commedia brillante e luminosa, in cui vengono abilmente intrecciati tipi caratteriali, con le loro forze e debolezze. Dietro al tipo c’è sempre in agguato il rischio del cliché. In “Tabù” i luoghi comuni non suscitano derisione, ma un sorriso dato dal riconoscersi a pieno nelle dinamiche sapientemente portate in scena dalle cinque attrici. La banalità del quotidiano è trasfigurata in una normalità eccezionale in cui tutte (oserei dire tutti) ci siamo rispecchiati, in cui tutti abbiamo riconosciuto una qualche persona importante della nostra vita. Dal palco di Teatro Porta Portese si crea tra il pubblico e le attrici un’empatia che fa traboccare cuori di serenità, da un lato, e che stimola tanta riflessione, dall’altro.
Il materiale umano che regala l’universo femminile è una vera e propria miniera in cui le attrici ci hanno condotto per farci scoprire le pareti piene di variopinte pietre preziose nascoste nel buio pesto. A partire dal confronto sincero, dal dialogo intimo – che secoli di antropologia culturale hanno individuato come carattere distintivo dell’amicalità rosa – “Tabù” emancipa la banalità dalla grettitudine. Sofia, Viola, Marilù, Alice e Ginevra prese singolarmente sarebbero detestabili. Sono pronta a scommetterlo. Insieme sono eroine invincibili. Badate bene, non perché abbiano avuto la disgrazia di sopravvivere a chissà quale tragedia inenarrabile, per la quale nessun essere umano ringrazia di essere straordinario. Le donne di “Tabù” sono tutte le altre, quelle normali.
La dimensione del quotidiano arriva agli occhi dello spettatore come una vera e propria meraviglia. E quanto c’è bisogno al giorno d’oggi di sentirsi eccezionali, anche negli eterni discorsi sempre uguali. Soprattutto nelle chiacchiere che si ripetono negli incontri con i proprio amici. Chi non ha un’amica che non riesce a vedersi bella anche con i kg di troppo inesistenti perché certo bullismo ha fatto troppo male? Chi non ha un’amica che cambia partner come fossero mutande, che ha meno difficoltà a spogliarsi che a mettersi a nudo? Chi non ha un’amica hippie che per sfuggire alle trappole della società occidentale intraprende continui viaggi culturali e mentali? Chi non ha un’amica disposta a sacrificare pezzi di se stessa per realizzare i suoi sogni? Chi non ha un’amica, indurita dalle avversità della vita, di cui ogni parola, nella totale sincerità, risulta per l’altro una violenza continua?
Non ho potuto fare a meno di notare un’altra profonda intenzione nella delineazione dei soggetti in “Tabù”. Alice, Viola, Ginevra, Sofia e Marilù sono amiche che sembrano non avere proprio niente in comune. Proprio per questo sono donne vere e piene. Accompagnarsi con l’identico, in fondo, è un’acuta forma di narcisismo, la superficie del timore di essere respinto da chi da sé è totalmente diverso. Tutte insieme, risultano essere il colorato effetto della diffusione di un fascio di luce. Quel fascio di luce che in modo così naturale illumina gli ambienti di vita risulta per miracolo composto di tante sfumature, alcune impercettibili all’occhio umano. Per onor di messa in scena, è stato ritenuto opportuno operare questa scissione in tipi. Una scelta che è risultata vincente.
La cura certosina nei dettagli scenici e nelle parole del testo ha trovato una perfetta corrispondenza nel rincorrersi così naturale delle chiacchiere, nel tendersi sentito dei corpi e, perché no, nel vibrare commosso delle voci nei momenti più alti della commedia. Compresa quella di Serena Mente, che ci ha introdotti e accompagnati con voce e chitarra nell’arco dell’intera performance. Al netto del fatto che gli stereotipi non mentono mai, “Tabù” svela l’autenticità del generalismo che abita in ognuno di noi. Ben lontani dalla mera riduzione al luogo comune, in “Tabù” si sviluppano personaggi veri e complessi. Ringrazio col cuore in mano il cast. E lo faccio in quanto donna. Non capita tutti i giorni di assistere a uno spettacolo che parla di donne e non uscire dal teatro gonfia di delusione.
(Eccezion fatta per l’indecenza di certo pubblico, che ha perso l’occasione per dimostrarsi educato e non disturbare le attrici, gli addetti ai lavori e i propri compagni di platea).