La scena si apre su una colorata ludoteca romana dove, alla spicciolata, entrano le cinque protagoniste. Sono giovani, belle (anche se non tutte, guardandosi allo specchio, la pensano così) e sono all’incirca coetanee. La loro amicizia dura da 20 anni, da quando erano bambine. Marilù (Giulia Di Turi) ha con sé una torta mimosa, fatta dal suo pasticciere di fiducia (la mamma), per la quale ha “riciclato” delle candeline (alzi la mano chi non l’hai mai fatto una volta!), suscitando così le immediate rimostranze delle altre. La concentrazione del gruppo passa però immediatamente sui buonissimi saccottini e cornetti al cioccolato che vengono divorati rapidamente, sotto gli occhi “tristi” di Alice (Lorenza Giacometti), perennemente a dieta e con un’infanzia infelice, perché oggetto di continue battute sul nome (“di secco c’hai solo il nome”) e sulla pronunciata rotondità dei suoi fianchi.
E’ evidente che le ragazze sono in attesa di qualcosa che deve ancora avvenire, per ingannare il tempo il dolce di compleanno viene spostato, così da far posto, sul piccolo tavolo della stanza, ad una partita di Taboo, come quando erano più piccole. Il funzionamento del gioco è relativamente semplice: si devono indovinare parole, estratte da un mazzo, senza usare quelle proibite indicate sulle carte, tutto questo con il tempo scandito da una piccola clessidra. Anche la composizione delle due squadre genera una leggera discussione, uguale a tante altre, in tutte le case, ogni qualvolta si procede ad una gara: De Coubertin, in questi casi, nessuno sa chi sia.
Mentre si gioca, Viola (Noemi Sferlazza) continua imperterrita ad utilizzare il telefonino, messaggiando i suoi numerosi fidanzati; Sofia (Lorenza Sacchetto) ha sempre sulla bocca il suo idolatrato Massimo, con il quale tra poco si sposerà; Ginevra (Chiara David) si lancia in dotte e non richieste eco-dichiarazioni, frutto di viaggi e del suo impegno ambientale. Del gruppo manca ancora una sesta amica, Michela, che avrebbe poi contribuito a bilanciare più correttamente le squadre in gioco. Ne attendiamo pazientemente l’ingresso al debutto dello spettacolo, avvenuto al Teatro Porta Portese di Roma, con un confortante e benaugurante sold-out e l’aggiunta in corso d’opera di un’ulteriore replica.
Il compleanno non viene festeggiato e la scena si evolve nei mesi, contrassegnati dal cambiamento di abiti delle ragazze che si coprono e si alleggeriscono, ma mantengono sempre altissima la concentrazione su quelle “parole” che non dovrebbero dirsi ma che, complice involontario il gioco, escono dalle labbra di una contro un’altra, causando momentanei e profondi litigi che durano veramente poco, cancellati dal vero affetto che le ragazze provano reciprocamente. Ogni partita diventa però l’occasione per confessare un “piccolo” segreto, per liberarsi di un malessere personale che solo un’amica sincera (in questo i maschi sono veramente svantaggiati!) può aiutare a superare o affrontare, quell’amica di cui basta cercare la mano per poter stare subito meglio, perché l’amicizia “tiene ancora più calda di un pullover di lana” (citazione). Passano le stagioni, il dolce è sempre presente nel suo contenitore salva-freschezza, Michela continua a non farsi vedere e le sessioni a Taboo si susseguono, movimentando anche le squadre.
A questo punto ci sembra più che doveroso invitare tutti a cercare “Tabù” (lo spettacolo teatrale, non il gioco) in una sala e godersi il piacere di una performance artistica veramente azzeccata. Nel racconto c’è tutto quello che si può chiedere ad una piacevole commedia: freschezza della scrittura, ottima messa in scena, grande bravura interpretativa, con una caratterizzazione dei personaggi che si attaglia perfettamente (un abito di ottima sartoria cucito su misura) alle corde recitative di ogni attrice, un contrappunto musicale originale eseguito dal vivo (sempre al femminile) da Serena Allegrucci, ma soprattutto una storia “piccola” (lo hanno detto loro!), ben calibrata e bilanciata, ma che di piccolo ha veramente poco, visto che porta alla mente dello spettatore ampi spunti riflessivi, praticamente impossibile non riuscire a farli propri e senza necessariamente essere nati dopo il 1990 o appartenere al genere femminile.
Il testo è nato sulle idee e le condivisioni dei pensieri delle attrici in scena (anche produttrici dello spettacolo), prima di essere passato ad Alessandro Bonanni, con il difficile compito di rendere i tanti “appunti” un testo organicamente “teatralizzabile”. L’autore, proseguendo nella strada già tracciata da tanti altri eccellenti uomini – citiamo come esempio su tutti Woody Allen – è riuscito a mantenere in delicatezza temi che tanto leggeri poi non sono, mantenendo freschezza, credibilità e velocità. Identica attenzione anche da parte del regista, Giovanni De Anna, che ha accuratamente evitato (e per fortuna che c’è ancora chi lo fa!) di esacerbare i registri narrativi, non cercando la facilità (riso o pianto) del consenso immediato da parte del pubblico.
Nello spettacolo si ride e molto, ci si commuove e si partecipa alla spiegazione delle “parole proibite”, poi si esce dalla sala con la voglia immediata di considerare le cinque ragazze come membri della propria famiglia: sono figlie o nipoti (dipende dall’età dello spettatore) di tutti noi, in grado, anche con la loro acclarata bravura, di tenere saldissima l’empatia che si conquistano immediatamente, già nei primi minuti di racconto. Se l’unica parola che non si dovrebbe pronunciare è “applauso”, basta ascoltarne il rumore in sala per capire quanto Tabù ne meriti molti e prolungati nel tempo.